Un anno e mezzo in ostaggio di un virus tanto invisibile quanto insidioso. È arrivata l’ora, finalmente, di iniziare a riconquistare i nostri spazi, tornare alla vita di sempre, quella cui eravamo tanto abituati da non renderci conto di quanto fosse meravigliosa.
Liberi tutti certo, ma sempre con prudenza, con molta prudenza. Tornare nel baratro è questione di poco, lo abbiamo già vissuto e da quell’esperienza dobbiamo trarre gli insegnamenti che ci faranno uscire definitivamente da questo incubo. Che ci permetteranno di tornare a mostrare un sorriso senza doverlo nascondere dietro ad una mascherina che ci ha protetto sì, ma all tempo stesso ci ha negato il contatto visivo con l’altro.
Per questo i mogoresi che si affacciano dalle finestre di Su Scolasticu e ci salutano ci ricordano come sono fatti i nostri volti nella loro interezza. Non solo occhi che, dall’alto di una mascherina, scrutano altri occhi, ma volti scoperti che si ritrovano in un auspicio di normalità che è anche riscoperta.
Riconoscersi e rivedersi non è solo un augurio, ma è anche il recupero di un’identità che forse stavamo iniziando, se non a cancellare, quantomeno a rimodulare su parametri artificiali imposti dalle contingenze. I volti che ci guardano dall’alto delle finestre di Su Scolasticu non sono solo quelli dei mogoresi ritratti, ma sono quelli di tutta Mogoro, di tutta la Sardegna, di tutta Italia, di tutto il mondo.
In questo edificio generazioni di maestri hanno educato e fatto crescere generazioni di studenti fornendo loro gli strumenti con cui affrontare la vita. Per tanti l’edificio stesso è stato maestro. L’etimologia latina di questa parola (magister) ci ricorda che il maestro è colui che è più esperto e quindi può guidarci. E proprio questo vuole essere il senso dell’installazione: mostrarci che esiste un futuro possibile e che, se saremo tutti prudenti e attenti, lo raggiungeremo presto. Nel frattempo viviamo il piacere di rivedere i nostri volti e riconoscerci.
Sandro Iovine