Max Solinas, dei suoi “Angeli” presenta quasi delle biografie, scritte nel tempo di un sospiro. I soggetti delle sue fotografie vengono dai quartieri duri della vita, hanno addosso storie impegnative, incise ruga dopo ruga, e le mostrano senza ostentazioni ma sempre con rispetto di sé, a tratti con una fierezza da caballeros. Confesso che ho vissuto, dicono i loro sguardi acuminati. E gli occhi basterebbero, potendoli isolare con un rapido lavoro di forbici, per un’esposizione a sé. Quelli malinconici dell’“orfano”, quelli ferini e stretti a capocchia di spillo del “pugile”, quelli intensi come laser del “senza fissa dimora”. Quello che non raccontano le pupille né le didascalie - che accompagnano ogni immagine insieme a nomi a volte veri e a volte di fantasia - lo dicono i corpi. Solinas ha voluto che tutti i suoi modelli si facessero ritrarre in jeans e a torso nudo, il massimo grado di esposizione per catturare la massima sincerità. Epidermidi che sono delle geografie, solcate da cicatrici a volte di bisturi e a volte di altro, mostrate poro per poro, pelo per pelo, piega per piega. Ne viene fuori un racconto intimo e totale che però non è mai spudorato. Non c’è un solo momento che faccia pensare a una galleria di freak, non si legge mai un intento sarcastico. Non sono caricature, sono ritratti di angeli. E gli angeli - si sa - restano in carica anche quando perdono la strada una volta arrivati sulla Terra.
Celestino Tabasso
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