In un haiku (1) del 1938 Nakamura Kusatao sostiene che strappando le felci si restituirebbe la pietra alla pietra. Detto altrimenti, togliendo ciò che ricopre le cose si consentirebbe a queste di rivelarsi nella loro vera natura. Ma cosa c’entra con la fotografia una poesia in diciassette sillabe che sembra parlare di felci e pietre?
Quando all’origine di un’immagine c’è l’esigenza profonda di indagare la propria percezione del reale, essa non è dissimile da ciò che si disvela togliendo le felci per tornare a percepire le pietre. «Nel mondo attuale – scrive Bauman – la scelta è tra il malanimo e l'indifferenza. [...] Le nostre sofferenze dividono e isolano: i nostri tormenti ci separano, lacerando il tessuto delicato delle solidarietà umane» (2) Questo è vero soprattutto nelle metropoli, dove la quotidianità è latrice di malesseri striscianti e diffusi, spesso non percepiti da chi ne è afflitto. In una società che si fa vanto dell’interconnessione, i suoi membri (in realtà persi in vortici anestetizzanti che annichiliscono la coscienza di sé) è sufficiente lo spostamento quotidiano sui mezzi pubblici per verificare quanto ognuno di noi sia pervaso da una solitudine onnipresente. Il viaggio quotidiano sulla linea 14 dell’ATM diventa quindi emblematico delle solitudini individuali e inconsapevoli con cui conviviamo presi dai nostri problemi o persi nel display di un cellulare. Intorno a noi nessuno alza lo sguardo e se lo fa non incontra gli occhi degli altri. «La vita individuale – scrive ancora Bauman – è ipersatura di cupi pensieri e sinistre premonizioni, tanto più terrorizzanti in quanto subiti in solitudine, e in quanto sfuggenti e spesso non specifici». (3)
Le fotografie quasi mai cambiano il mondo, ma grazie a una fotocamera si può fissare il nostro sguardo sugli altri, sollevare quel velo che nasconde la solitudine che contamina le nostre città. Come le felci strappate evocate da Nakamura, le fotografie svelano quella realtà fatta di solitudine urbana che tendiamo a rimuovere dalla nostra coscienza.
Sandro Iovine
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(1) Nakamura Kusatao, da Chōshi, 1938 in Il grande libro degli haiku, a cura di Irene Starace, Alberto Castelvecchi Editore, Roma, 2005; pag. 1232-1233. 蕨折れば | 岩は岩にと | 帰しにけり (Se le felci fossero strappate | si riporterebbe | la pietra alla pietra; trad. Sandro Iovine). L’haiku è una forma poetica giapponese che si risolve in diciassette sillabe (5 | 7 | 5) derivata dalla tanka (5 | 7 | 5 / 7 | 7).
(2) Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2015; pag. 61.
(3) Zygmunt Bauman, ibidem; pag. 62.
Profilo autore
Valeria Sanna è nata a Oristano nel 1987 e cresciuta a Mogorella (OR). Si è avvicinata molto presto alla fotografia come autodidatta, frequentando nel 2007 il suo primo corso di fotografia. Nel 2011 ha lasciato la Sardegna per trasferirsi a Milano dove vive e lavora. Da sempre appassionata di viaggi, reportage e street photography ha deciso di dedicarsi con continuità alla fotografia, per questo nel 2018 ha iniziato un percorso di studio presso FPschool, all’interno del quale è nato il progetto Le solitudini del 14, nell’ambito del corso avanzato di fotografia tenuto da Sandro Iovine.
riferimenti
sito web / www.valeriasanna.com
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